Yoga Sutra di Patanjali – SADHANA PADA

YOGA SUTRA DI PATANJALI – SADHANA PADA

Gli Yoga Sutra di Patanjali hanno ispirato e sono alla base dello Yoga: fare Yoga e non parlare degli Yoga Sutra di Patanjali è come parlare del Cristianesimo e non parlare di Gesù. Inizierò una serie di articoli tratti dalle mie Lezioni on-line con ZOOM incentrate sugli Yoga Sutra, ed oggi parlerò della Sadhana Pada.

Gli Yoga Sutra di Patanjali sono suddivisi in quattro capitoli (Pada):

  1. Samādhi Pāda, 51 sūtra – Viene introdotto e illustrato lo Yoga come mezzo per il raggiungimento del samādhi, lo stato di beatitudine attraverso il quale si consegue la liberazione dal “ciclo delle rinascite” (saṃsāra).
  2. Sādhana Pāda, 55 sūtra – Vengono descritti il Kriyā Yoga, lo Yoga attivo e i Klesha.
  3. Vibhūti Pāda , 56 sūtra – Si prosegue con la descrizione delle ultime fasi del percorso yogico, e vengono esposti i “poteri sovrumani” (vibhūti) che è possibile conseguire con una pratica corretta dello Yoga.
  4. Kaivalya Pāda, 34 sūtra – La separazione fra spirito (puruṣa) e materia (prakṛiti).

Il capitolo della Sadhana Pada ci riguarda direttamente in quanto praticanti dello Yoga e analizzeremo insieme la grande eredità che Patanjali ci ha lasciato, perché in questo importante capitolo Patanjali spiega molte cose sullo Yoga. In questo Pada vi sono 55 Sutra.

Sadhana significa “pratica”, cioè quell’insieme di esercizi che aiutano il praticante a rimanere nell’assoluta non-violenza. Questa è la prima regola da osservare nel percorso dello Yoga. Lo Yoga è ahimsa: non-violenza. Il principio di base nella realizzazione del Sé e comune a tutti i grandi Sadhu, i grandi Yogi.  Mahatma Gandhi ci ha dato un grandissimo esempio applicando tale principio a tutta la sua vita.

Non-violenza significa: io non creo violenza innanzitutto verso me stesso e anche verso gli altri.

La prima pratica, Sadhana, quotidiana è quindi la non-violenza e chi inizia il percorso dello Yoga deve prendere l’abitudine alla pratica quotidiana perché dovete considerare che nell’arco della vostra giornata dovete essere sempre nella pratica: dovete rimanere vigili e attenti a non creare violenza né verbale né fisica e nemmeno violenza di pensiero, come il pensiero negativo o avere pensieri di aggressività.

Quindi, la Sadhana Pada, come indicato, è l’insieme delle norme, regole e pratiche dello Yoga che l’aspirante spirituale su questo percorso, anche definito Sadhaka o Yogino, deve compiere quotidianamente per raggiungere il Samadhi.

In questo primo capitolo Patanjali tratta inizialmente di alcuni problemi filosofici relativi alle religioni per cui il discepolo può essere motivato e preservare il lavoro iniziato, mentre in una seconda parte affronta alcuni elementi basilari della pratica yogica. I capitoli della Sadhana Pada sono:

  • Sutra 1-17: la teoria dei condizionamenti (Klesha) e le pratiche che portano al loro riconoscimento ed eliminazione, in particolare l’abbandono a Dio (Ishvara pranidhana), la disciplina ascetica e lo studio dei testi sacri (sva-dhyaya).;
  • Sutra 18-28: analisi della relazione tra percettore e percepito, conoscente e conoscenza;
  • Sutra 30-34: cosa si dovrebbe evitare e cosa è invece utile e benefico praticare (yama e niyama);
  • Sutra 35-45: gli effetti ed i benefici di yama e niyama;
  • Sutra 46-48: i benefici delle posture o asana;
  • Sutra 49-53: pranayama, il respiro fatto con consapevolezza sul prana, l’energia vitale;
  • Sutra 54-55: la pratica di pratyahara, ovvero come scollegare i sensi dal mondo fenomenico per giungere alla fase superiore della disciplina Yoga, costituita da dharana (concentrazione), dhyana (meditazione) e samadhi (assorbimento nella Realtà).

Patanjali inizia a dare subito una sua indicazione nel primo Sutra: lo Yoga deve essere attivo e preparatorio, l’esatta disciplina è l’introspezione quotidiana del praticante ed il completo abbandono a Dio, che è già Kriya Yoga. L’introspezione è l‘osservare continuo e costante rivolto a sé stessi, alle proprie azioni, ai propri pensieri per potere essere nell’ahimsa, nella non violenza, perché la violenza in tutte le sue forme crea karma.

Il karma che stiamo vivendo oggi è la violenza che abbiamo compiuto nelle vite passate, che noi non ricordiamo. Il Mahatma Gandhi affermava che si può vincere una guerra, o una battaglia, attraverso l’azione della non-violenza.

Non credo che tutti voi compiate questa introspezione quotidiana, ad esempio mentre lavorate o camminate. Osservate la realtà esterna come la vetrina di un negozio, e il vostro occhio cade sull’oggetto che diventa il desiderio da soddisfare. Questa azione non è di per sé malvagia, ma non ne siamo consapevoli. Il cuore proietta una realtà che voi state cercando di dirigere.

Patanjali prosegue con l’abbandono quotidiano a Dio: sempre, non un giorno si e un giorno no.  L’azione di unione a Dio, l’abbandonarsi a Dio è già Kriya Yoga. L’unione è universalità: più riesco ad essere universale come anima, più mi sento unito a tutte le cose, e più sono nello Yoga: mi unisco a tutte le cose senza giudizio.

Come osservi il tuo cuore che dirige la tua vita? Introspezione e completo abbandono a Dio per avere la Sua guida, altrimenti non abbiamo consapevolezza delle nostre azioni e non conosciamo cosa ci porteranno gli oggetti che abbiamo bramato, e desiderato nella nostra vita.

Patanjali descrive poi le caratteristiche che contraddistinguono un primo lavoro di Yoga superiore, definito tale rispetto allo Yoga semplice perché è quell’azione, che costantemente indaga il nostro cuore attraverso il pensiero, e che fa in modo che il cuore brami e richieda costantemente anche solo di essere amati. Ma da chi? Ricevere amore dagli umani non è facile, abbiamo tutte le nostre difficoltà, ma se il nostro cuore brama amore per gli Esseri Fini ecco che noi siamo già nel Kriya Yoga: ci stiamo unendo perché desideriamo ricevere amore dagli Esseri Fini, tutti i Santi che vivono nell’immortalità del Paradiso, del Nirvana.

Pochi Istruttori di Yoga si addentrano nel difficile percorso di spiegare da dove nasce lo Yoga, partendo dall’insegnamento vero degli Yoga Sutra di Patanjali che trae ispirazione dal rapporto di Lord Krishna con Arjuna descritto nella Bhagavad-Gita, che è la prima sorgente dello Yoga.

“… La diffusa traduzione della parola Kriya Yoga come Yoga preparatorio è molto libera ed accettabile solamente per la collocazione di tale concetto all’inizio del Pada sulla disciplina e per il fatto che poi gli stessi elementi qui elencati verranno ripresi ed ampliati. Tapa è un termine passato a significare pena, tormento, disciplina ascetica stressante…” quindi il fatto che tu stai soffrendo oggi.

Ti poni la domanda del perché soffri, il perché di questa angoscia che provi, e da dove nasce la tua sofferenza? Nasce da una disciplina non ascetica, perché nelle vite precedenti non hai provato l’interesse per diventare uno Yogino, se vuoi anche come hobby, ma un hobby di scelta ascetica della tua vita.

Tale scelta è la rinuncia alla sofferenza e qui Patanjali fa un’osservazione e chiede: “Quanti Tapa hai nella tua vita?” Quindi quante sofferenze, pene e tormenti hai nella tua vita, quanta mancanza di ascetismo che è principalmente il concetto di realizzare il Sé nell’ascesa verso quella sottile Luce che governa tutte le cose.

“…Tapa non va inteso come sofferenza autoimposta, perché è quella qualità che fa sì che l’individuo si comporti con perfetta conoscenza e adesione alle leggi naturali esprimibili in termini matematici in modo da ottenere il migliore risultato dagli strumenti psicofisici di cui è dotato…”. Quindi partiamo da questo concetto: io mi abbandono a Dio, con tutta la mia anima e tutto me stesso ed offro a Lui le mie Tapa, le mie sofferenze. Se non mi abbandono a Dio, le mie sofferenze rimangono e risiedono nel cuore, e noi non risolveremo mai la realizzazione del nostro Sé, della nostra individualità presente in questa realtà, perché il tormento viene da ciò che abbiamo compiuto nelle vite passate e di cui non serbiamo memoria.

Patanjali dice che non è necessario conoscere ciò che abbiamo compiuto nelle nostre vite passate, ma è importante comprendere quante sofferenze ti tormentano.

C’è chi soffre per un tema e chi per un altro. C’è chi soffre perché è stato lasciato, o perché in una vita precedente sei stato giudicato male da un giudice non interessato alla sua professione e che, ad esempio, ti ha inviato in prigione per tutta la vita, ma tu eri innocente. Questa angoscia perdura anche nella vita successiva e risiede nel cuore e ti rimane nell’anima la sensazione di essere stato giudicato male ed avere sofferto.

In questa vita incontrerai di nuovo quel giudice perché il karma si deve ripagare, ma nel tuo cuore quella sofferenza esiste ancora, un tormento che tu non conosci. Potresti anche soffrire di claustrofobia in ascensore e farti prendere dall’ansia e dal panico, oppure avere paura nell’essere chiuso in un pullman con tante persone. Dalle sorgenti dei Tapa passati nasce la consapevolezza della tua scelta introspettiva da cui scaturisce la volontà di iniziare un percorso di guarigione attraverso la comprensione dei propri tormenti.

Patanjali parte proprio da questo punto: guardiamo cosa ti tormenta, uniamolo a Dio, sciogliamolo al sole, alla luce del Sutra da dove tutto viene dissolto. Quindi lo Yoga deve essere attivo. Devi fare introspezione, e poi devi abbandonarti completamente al Divino offrendo ciò che ti tormenta, il tuo Tapa, a Dio, perché tu non conosci la natura del tuo karma, ma stai soffrendo per il tuo karma.

Come offrire a Dio i tuoi Tapa? Con la devozione, con la preghiera e con la pratica per unirsi costantemente all’amore degli Esseri Fini e trovare quell’amore che tu brami così tanto. Per quanto riguarda me, l’amore che io bramo è solo l’amore per gli altri. Io chiedo costantemente a Dio di divenire Suo strumento di “passaggio” del Suo amore incondizionato, affinché gli altri percepiscano quell’amore che non conoscono, che guarisce e non quello che crea altro karma, altri problemi e tormenti, e poterti aiutare a risolvere i tuoi Tapa.

Molti di voi sono tormentati, soffrono e sono in ansia. Chi più e chi meno. Pensate se nella vita precedente avete investito involontariamente un essere umano che era sul suo percorso e avete provato un forte senso di colpa. Poi rinascete e provate lo stesso senso di colpa ma non ne conoscete il perché. Si vive un senso di colpa incredibile. Il vostro Tapa è che avete ucciso qualcuno involontariamente. Se non diventi uno Yogi, un praticante, ed inizi ad unire i punti per completare il cerchio della realizzazione del Sé ed unire tutti i motivi per cui soffri, non lo comprenderai mai.

Questo primo Sutra è molto importante: il sincero abbandono a Dio, Ishvara. Quell’abbandono completo e totale è la prima azione che Krishna suggerisce ad Arjuna: “…Figliolo, abbandonati a Me…”. Questo è il primo Kriya Yoga: arrenditi a me, che significa consegnare tutti i tuoi tormenti a Lui.

Ecco cosa significa “surrender to the Guru”ç io consegno a Te tutti i miei tormenti, mio Guru, perché io non ne conosco l’origine, ma Tu sì che hai la vista del terzo occhio. Il Guru vede il tuo tormento. Per esempio, se ti senti inadeguato ovunque tu vada, questo fatto è legato ad una radice del tuo karma di qualche vita precedente.

Prima azione primo Sutra: compiere il primo passo. Il primo Kriya Yoga come praticanti Yogini è la prima azione che ti permette di unirti a Dio il Dissolutore, che conosce ogni respiro di ogni tuo tormento. Afferma: “Dio ti offro tutti i miei tormenti perché io non ho memoria di ciò che ho compiuto delle mie vite passate”.

Come disse Krishna ad Arjuna: “… Se non ti abbandonerai a me alla mia Luce, al mio Fulgore, alla mia fluorescenza d’amore, come posso risolvere la tua vita, oh guerriero? Hai fatto spargimento di sangue e devi comprendere come vincere le battaglie senza spargimento di sangue, senza violenza”. Questo primo Sutra del Sadhana Pada è lo Yoga attivo.

Passiamo ora al secondo Sutra: le ragioni per cui praticare il Kriya Yoga. Pratico il Kriya Yoga per ottenere il Samadhi e per attenuare i condizionamenti. Se la mia tendenza è quella di essere violento, devo attenuare questa violenza che è un condizionamento. Se vengo provocato reagisco subito con una parola violenta e non riesco ad attenuare quella tensione del Tapa, del mio tormento, che dentro di me non aspetta altro che di essere provocato per reagire con altrettanta violenza, quella che il mio tormento mi procura.

Quindi la violenza da dove nasce? Osservate da dove nasce la radice della violenza, nasce dai propri Tapa. Chi ha raggiunto la pace totale dell’OM non ha più alcun tormento interiore perché è divenuto uno con tutto e alla provocazione non risponde con la violenza. Patanjali afferma che bisogna comprendere le ragioni per cui praticare lo Yoga; perché devi unirti a Dio, per iniziare ad attenuare quelle tensioni, quei condizionamenti che ingenerano violenza. Se non conosci i tuoi Tapa, i tuoi tormenti e non li offri a Dio, quei tormenti genereranno una tensione e nel momento in cui verrai provocato quella tensione costante che l’anima subisce si trasformerà nella risposta alla provocazione in pura violenza.

La gente è violenta perché ha dei tormenti nell’anima, altrimenti se l’anima avesse risolto il Sé, cioè realizzato l’Io individuale che lo ha incarnato, non diventerebbe violenta, ma sarebbe pacifica. Una persona che ha risolto i propri tormenti e desidera essere la pace di Dio, lo Spirito Santo di Dio, un canale che può aiutare le persone su questa Terra inondando di amore chi non riesce a trovarlo da nessuna parte perché ancora nella sofferenza.

In pochi Sutra Patanjali individua il nodo principale che ti impedisce di essere un sano Yogi. Comprendi attraverso l’introspezione i tuoi tormenti, ed inizia un’opera di Kriya Yoga, di unione a Dio, per attenuare le tensioni che generano tali tormenti, attraverso l’abbandono e l’offrirsi completamente a Dio per alleggerire il peso dei tuoi tormenti.

In tanti vi chiedete quale sia la via per risolvere la vostra sofferenza: offrire tutto a Dio. Non solo il dolore, ma anche il piacere e il nostro godimento della vita. Dite a Dio: “Grazie Dio. Come sono felice oggi: questa gioia te la offro”. Non offrite a Dio solo il dolore.

Il piacere o il dolore sono dei Klesha e ne abbiamo esperienza. Però è molto più facile visualizzare l’oggetto “mela” che l’oggetto “piacere” o l’oggetto “dolore”, che hanno una connotazione molto più profonda. Qual’è l’oggetto del tormento? Chiede Patanjali: probabilmente ciò che riesci ad individuare è presente nella tua attuale vita.

Noi produciamo oggetti di sofferenza e poi, a seconda dell’oggetto, esiste e si genera un condizionamento debole o forte, in base a ciò che il cuore brama. Se non individuiamo l’oggetto collegato alla sofferenza allora offriamolo a Dio. Se invece individui l’oggetto della tua sofferenza (il compagno, il lavoro, i genitori, i figli, ecc.) fai attenzione a quanta tensione ti procura quell’oggetto, dove l’oggetto è inteso sia come materialità, ma anche immaterialità.

Individua la tensione che ti crea l’oggetto, perché attraverso quella tensione avrai dei condizionamenti che ti faranno agire malamente: scivolo, inciampo, faccio un incidente, spacco qualcosa. Le tensioni esistenti creano delle energie tali da provocare degli incidenti, delle difficoltà nelle nostre vite.

Patanjali dice che ci sono dei Tapa con oggetto e dei Tapa senza oggetto. Questi ultimi li devi offrire a Dio subito. La preoccupazione per tuo figlio che si droga ti crea della sofferenza: l’oggetto lo conosci e ti crea condizionamento e lo devi individuare ed attenuare subito.

Questi concetti possono venire compresi portando l’attenzione sull’oggetto. Secondo lo Yoga “…ciò che noi chiamiamo oggetti sono costruzioni mentali del nostro apparato psichico, composto sia dagli organi di senso che dall’insieme dei dati raccolti con le passate esperienze accumulate nella memoria di questa vita…”. Queste esperienze sono oggetti di tormento sempre presenti che creano delle tensioni. Le memorie di esperienze negative (un incidente, un abbandono, un disguido con la giustizia, la perdita del lavoro, ecc.) rimangono lì, nella tua memoria e per questo bisogna iniziare una pratica yogica: per riuscire ad eliminare il peso di questi oggetti nella nostra esperienza di memoria, che ancora producono sofferenza nonostante siano passati.

Patanjali ci accompagna a piccoli passi per risolvere quella tensione che genera la violenza. Immaginate un elastico che si accorcia e la tensione diminuisce. Si allunga e la tensione aumenta. Se riesco a risolvere la tensione in tutti gli oggetti che sono l’origine dei miei tormenti, allora inizio il processo di realizzazione del mio Sé.

Dovete imparare la calma nelle varie situazioni che possono creare della reattività. Bisogna avere comprensione e compassione della sofferenza altrui, e delle esigenze altrui.

Passiamo ora ai cinque Klesha, le cause di condizionamento di tutti i Tapa, che Patanjali identifica in:

  1. non conoscere Purusha (la coscienza cosmica spirituale immutabile)
  2. egoità
  3. attrazione
  4. repulsione
  5. paura di morire, che è la radice di tutte le paure.

L’ignoranza è la condizione interiore di non conoscenza, Avidya, che significa non conoscenza del Purusha, cioè delle azioni che creano la realizzazione del Sé. Possiamo avere tante lauree, pensare di conoscere tutto a livello enciclopedico, ma non mettiamo in pratica alcuna delle azioni che sono legate alla purezza del cuore, a purificare il cuore, quelle azioni che generano realizzazione del Sé.

Come libero l’anima dai tormenti legati alle vite passate e anche a quella presente? Devo attenuare le tensioni che creano grandi o piccoli condizionamenti nelle nostre vite. Quando avremo percorso insieme e collegato tutti i Sutra comprenderemo la straordinaria opera di Patanjali, che con poche parole ha individuato subito il percorso, il metodo ed inizia con i primi 55 Sutra a delineare e risolvere gli ostacoli attraverso la pratica, la Sadhana Pada.

“…Da un punto di vista evolutivo si tratta di un possesso di oggetti mentali riguardo il bagaglio nozionistico, ciò che si ha invece di ciò che si è.  Asmitā è l’egoità che deriva da questa fondamentale ignoranza…” Quindi l’ego è creato dall’ignoranza, Avidya, secondo Patanjali; cioè, dalla mancanza di conoscenza del Purusha, di quelle azioni che portano alla purificazione e alla liberazione dai tormenti dell’anima. L’ego si sgretola quando inizio ad avvicinarmi, passo dopo passo, alla conoscenza di Dio, il Purusha.

Poi ci sono attrazione e repulsione, due energie che creano le tensioni e i condizionamenti: il desiderio intenso di piacere, gioia, divertimento, passione ed amore, ma anche il rifiutare tutto ciò che riteniamo essere negativo e che porta dolore, sofferenza, malattia.

Infine, il Klesha principale, quello più forte e condizionante: la paura di morire. Questo Klesha ci lega a tutti i tormenti, e al momento in cui dovremo lasciare il corpo.

Articolo redatto da:  Swami Amrirananda
Davide Russo Diesi | Certified Yoga Teacher RYT-500 Yoga Alliance USA – Yogasthali Yoga Society, INDIA.

Istruttore Yoga Davide Russo Diesi

Istruttore Yoga Davide Russo Diesi